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I biscotti di Baudelaire… e altri piatti a base di canapa

“I biscotti di Baudelaire” corrisponde alla traduzione italiana di un libro uscito da noi nel 2013 e in America nel 1954 con un altro titolo, che non sto a riportare, scritto da Alice Babette Toklas. La notizia di nostro interesse è, che l’autrice in questione, non mancava mai di mettere nelle sue ricette, la cannabis sativa, ora in forma di semi ora di farina. Ma, attestazioni dell’uso della canapa in cucina se ne trovano già nei ricettari degli antichi romani, quando la usavano nelle loro minestre insieme a cereali come l’orzo e legumi come le fave.

Da sempre molto nutriente, oggi diremmo è un super food, la canapa veniva consumata dai Templari. Essi conducevano uno stile di vita militare pesante, fatto di combattimenti e sacrifici e, per questo abbisognavano di un piatto forte come la minestra di canapa, che conferisse loro energia e alleggerisse il peso delle fatiche. Secondo quanto riportato in un antico testo, bisognava: prendere i semi e privarli delle bucce, metterli a bollire in acqua, girando lentamente, in modo che queste venissero in superficie; toglierli poi dalla pentola e mettere i semi nel setaccio, affinché coli il liquido e metterli a cuocere con pane grattuggiato e cipolle arrostite in olio d’oliva; quindi stemperarli col loro liquido, aggiungendo zafferano e altre spezie, cosparendo, infine, i piatti di uva passa. Il profumo nell’aria doveva essere davvero invitante.

La ricetta ebbe successo anche in Italia, tanto che gli orvietani nel 1380 sopravvissero ad un assedio nutrendosi di pane ai semi di lino e canapa con qualche pezzetto di mela sopra, quanto bastasse per esser sani, salvi e…sazi. La canapa forniva loro grassi e proteine a sufficienza per campare.

La cannabis compare in seguito nei libri di cucina degli chef stellati del Rinascimento.

In un testo di cucina, infatti, si legge la ricetta dei Tortelli con fiori di canapaccia: «Togli questi fiori di canapaccia senza foglie e cuocili colla pancia del porco. Quando ella è presso che cotta (metti) a bollire li fiori e (quando) la carne è cotta, batti ciascuno per se. Togli finissimo cascio, altrettanto quanto è la carne, fine spezie e fa tortelli».

Anche altre ricette provenienti per lo più da trattati dello stesso periodo, confermano l’uso diffuso della canapa come prelibato alimento, come quella della Minestra di canapuccia, descritta da Jean de Bockenheim nel suo “Registre de cuisine”: «Prendila, puliscila bene in acqua calda e falla bollire lentamente, finchè in superficie non sarà addensata. Togli allora lo strato superiore e passalo al setaccio in modo che ne esca l’acqua. Mettila sul fuoco con pan grattato e cipolle arrostite nell’olio. Diluiscila con l’acqua dove ha bollito, aggiungi zafferano e altre spezie. Servi in una scodella e cospargi di uva passa».

I più grandi trattati di gastronomia e dietetica sono: il libro “De arte coquinaria” del Mastro Martino Da Como e il “De honesta voluptate et valetudine” di Bartolomeo Sacchi detto il Platina. Quest’ultimo era un umanista, agronomo e prefetto della Biblioteca apostolica Vaticana. Nella sua opera si trova la descrizione per preparare un piatto a base di canapa per 12 persone: «Puoi preparare una minestra di canapa nel modo seguente. Fa cuocere una libbra di semi di canapa ben mondati, fino a quando si siano sciolti; poi passali per lo staccio insieme con una libbra di mandorle e mollica di pane grattato intrisa in acqua, stemperando con brodo magro. Metti poi al fuoco rimestando spesso con un cucchiaio. Infine, quando è vicina alla cottura, aggiungi mezza libbra di zucchero, mezza oncia di zenzero e un pizzico di zafferano con acqua di rose. Non appena è cotta, servi dividendola in scodelle e spargendovi sopra spezie dolci in polvere. Da tanti ingredienti pregiati si ricava in ogni caso una pietanza poco pregevole. È infatti pesante da digerire e provoca nausea e male di stomaco».

Sempre a lui si devono le indicazioni per preparare una pietanza a base di canapa: «Per un giorno e una notte lascia in acqua dei semi di canapa e butta via quelli che vengono a galla perché non sono sani. Pesta invece gli altri insieme con mandorle ben mondate. Diluisci poi il composto con brodo di piselli, aggiungendovi un po’ di zucchero e acqua di rose. Fa cuocere il tutto per un ottavo d’ora all’incirca».

Immancabile nei ricettari è il modo di preparare la Focaccia di canapa ancora alla maniera di Bartolomeo Sacchi: «Far cuocere dei semi di canapa fino a quando la buccia si stacca da sé. Poi pestali in un mortaio insieme con mandorle ben mondate, diluisci il tutto con acqua fresca e passa per lo staccio. Deve bollire per poco tempo con un po’ di sale e di zucchero; se ti piace, puoi aggiungere del pepe. Poi torna a farlo bollire. Fa tostare nel frattempo delle fette di pane, posane uno strato in una casseruola, mettivi sopra un po’ del composto e poi fanne altri tre o quattro strati. Infine spargivi sopra spezie in polvere, preferibilmente dolci. Sta alla larga da questa vivanda quanto più ti è possibile – raccomanda il cuoco – perché nutre poco e male, provoca nausea, mal di stomaco e di ventre e indebolisce la vista».

Non credo che fosse questo a causare il mal di stomaco, visto che a farla da padrona sulle tavole dei nobili cinquecenteschi fossero piuttosto: capretti, polli, maialini, capponi, ma anche trote e storioni in grandi quantità.

È sempre il Sacchi (o il Platina) a riferire che la canapa veniva coltivata allo stesso modo del lino e, dopo il raccolto: “Se ne toglie la corteccia e si adopera per fare funi. Pestato il seme della canapa si usa per qualche vivanda, ma ne deriva danno alla testa e allo stomaco”. Forse erano le dosi che andavano rivedute.

Abbiamo infine testimonianza della preparazione di una Suppa fatta di semente di canapa descritta da Mastro Martino da Como, il più importante cuoco del XV secolo che è stato al servizio di Francesco Sforza a Milano; nel suo “La cucina italiana del Quattrocento”, infatti, si legge: «Per fare suppa fatta di semente di canepa fary buglire no pocho dela sementa dela canepa tanto che se incomenza di aprire e pistalla ben nel mortaro mettendo in essa uno pocho de armandolle piste distemprando con acqua frescha e broddo de piselli…».

Ma torniamo da dove siamo partiti: i biscotti di Baudelaire. Per prepararli occorre prendere un cucchiaino di pepe nero, una noce moscata, quattro stecche di cannella, un cucchiaino di coriandolo. Polverizzare tutti questi ingredienti in un mortaio, ma questo passaggio potete saltarlo, nei negozi di prodotti etnici si trovano le spezie già in polvere. Quindi, prendere una manciatina di datteri (privi del nocciolo), una di fichi secchi, una di mandorle e arachidi sgusciate, tritate il tutto e mescolate energicamente. Cospargete con la cannabis sativa. Impastate ogni cosa: frutta e spezie e aggiungete zucchero e burro. Preparate un rotolo, occorre tagliarlo a pezzi e formare delle palline. Consigliavano di non mangiarne troppi, un paio al massimo! Il grande poeta francese, inoltre, li raccomandava per i giorni di pioggia, soprattutto se accompagnati da grandi tazze di tè alla menta.

Oggi aziende e chef di tutto il mondo si sono dati un gran da fare per sfornare qualunque prelibatezza si possa desiderare a base di canapa dall’antipasto al dolce, passando attraverso birre, vini, amari, tisane e bevande frizzanti.

Ne è passato di tempo da quando si mangiavano solo i semi in aggiunta a una semplice minestra, sfogliando libri o navigando in internet si trovano migliaia di suggerimenti, io, personalmente non vedo l’ora di provare il lassi fatto col latte di canapa. È una bevanda indiana, uno yogurth un po’ annacquato, ma dolce e delicato.

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