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Salvini torna a straparlare di “droghe”: ecco dove e perché sbaglia

“Feste di droghe, droghette, drogone e droghine non dovrebbero essere autorizzate mai”. Di chi potevano essere queste parole se non di Matteo Salvini? Sono slogan che denotano una superficialità imbarazzante nel descrivere un settore, come quello della canapa, che è in rapida espansione, che sta creando opportunità di sviluppo, di lavoro e di sostenibilità ambientale e sociale.

“La droga fa male a tutti i livelli. Io anzi metterei test antidroga per tutte le professioni più a rischio e a contatto con il pubblico”, ha detto il ministro dell’Interno durante un’intervista a Rtl 102.5. “E’ un’emergenza di cui si parla troppo poco e che sta entrando in troppe case in silenzio: i prezzi si sono ridotti, ci sono molte donne in più tra chi consuma e l’età media si è abbassata fino ai 12-13 anni”. Per questo, ha concluso, si sta lavorando ad “un piano nazionale di contrasto“.

E poi ha aggiunto: “Ci sono colleghi parlamentari che presentano proposte di legge per legalizzare ma lo Stato spacciatore io onestamente non me lo vedo come futuro per i miei figli, anzi i parlamentari dovrebbero dare il buon esempio”. Poche ore più tardi l’attacco ai canapa shop: “Uno su due è un centro di spaccio”.

Dichiarazioni che seguono alle polemiche per la scelta degli organizzatori del 4.20 Hemp Fest di Milano di pubblicizzare l’evento con un manifesta recante l’immagine di una foglia di canapa e la scritta “Non sono una droga”.

Le parole di Salvini sono criticabili (per usare un eufemismo) perché affrontano il tema in maniera sbagliata, almeno su tre livelli.

Il primo errore è parlare di droghe in maniera generalizzata, non facendo distinzione tra marijuana, cocaina, eroina e droghe chimiche. Reintrodurre nel dibattito pubblico la retorica del “si parte con una canna e si arriva alla siringa” è pericoloso ed anacronistico. D’altronde non siamo stati noi, ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a chiedere che la cannabis venga depenalizzata.

Il secondo livello concerne l’incapacità di capire che la legalizzazione è di per sé un’opportunità. Per una svariata serie di motivi: toglierebbe fiato e benzina alle organizzazioni criminali (come ha spiegato bene Roberto Saviano in un’intervista a BeLeaf), porterebbe benefici economici per le casse dello Stato (come successo in Colorado e nei tanti Stati americani che hanno legalizzato), farebbe in modo che chi vuole consumare lo possa fare in sicurezza, sapendo cosa consuma e senza rivolgersi agli spacciatori che imperversano per le strade italiane (cosa di cui, da ministro dell’Interno, Salvini farebbe bene a occuparsi un po’ di più). Dall’altra parte dell’Oceano l’hanno ormai capito. Qui siamo ancora all’era preistorica.

Il terzo livello di superficialità riguarda il fatto che Salvini ignora tutti i benefici che il rilancio del settore della canapa industriale (con le sue molteplici possibilità di applicazione, dal tessile all’energetico, dall’alimentare alla bioedilizia) porterebbe in termini di risultati economici e di tutela dell’ambiente. Temi che questo governo sembra aver ormai dimenticato.

C’è poi un punto di coerenza che non può essere ignorato, quando si parla del ministro dell’Interno. Correva l’anno 1998 e il futuro leader leghista parlava così al giornale ‘Il Sole delle Alpi’: “Noi ci rapportiamo alle tematiche classiche della sinistra, dalla forte presenza statale alla liberalizzazione delle droghe leggere”. Salvini, all’epoca poco più che ventenne, aveva appena concluso la sua prima esperienza da consigliere comunale a Milano nella giunta Formentini ed era il leader della corrente dei “comunisti padani“.

Quant’acqua è passata sotto i ponti.

 

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